Dalla
paura al coraggio
Di
Carlo Pelanda (30-10-2009)
Il peggio è
alle spalle, come ribadito ieri da Berlusconi, ma proprio per questo la
politica economica del governo ora deve passare dalla posizione difensiva
tenuta nel picco della crisi ad una di attacco per intercettare la ripresa. Ma
cosa esattamente bisogna attaccare?
La ripresa
globale sarà lenta. La buona crescita del Pil statunitense nel terzo trimestre
è dipesa da stimolazioni temporanee d’emergenza che non possono durare. Anche
in Cina la ripresa è stata pompata da misure a termine. La crescita in queste
due locomotive del mercato mondiale non si interromperà, ma non potrà essere
così robusta per trainare presto e molto le economie dei Paesi esportatori e
manifatturieri quali Germania, Giappone, Italia e Cina stessa. Si aggiunga che
il cambio decompetitivo dell’euro non favorisce certo le esportazioni europee.
E fino a che l’America non sarà riparata avrà interesse a mantenere la
svalutazione competitiva del dollaro. Ciò
significa che per almeno tre anni la crescita dell’economia italiana non
avrà un sufficiente traino esterno. Pertanto bisognerà bilanciare questo gap con un impulso molto forte di crescita interna.
L’unico modo per riuscirci è quello di ridurre sostanzialmente i costi fiscali delle
imprese e quelli sul lavoro. Se non ci riusciremo sarà stagnazione. Questa
comporterà un serio rischio di deindustrializzazione del Nord, di peggioramento
dell’agonia nel Sud e di disoccupazione crescente. Ma, come noto perché in
cronaca da giorni in termini di conflitto tra priorità del rigore (Tremonti) e
della crescita (Berlusconi), il governo non può lanciare una detassazione
sostanziale ed immediata. Una parte dell’enorme debito pubblico, che sta
crescendo verso il 115% del Pil, dovrà essere rifinanziato nel 2010, in concorrenza con
le emissioni di altre nazioni più solide. Se il mercato percepirà il rischio di
ulteriore crescita del debito, e quindi di minore probabilità che l’Italia
possa ripagarlo, pretenderà un premio elevato per comprare i titoli. Se ciò
avvenisse, la spesa annuale per interessi, che oggi è tra i 60 e 70 miliardi
annui, aumenterebbe forzando il bilancio statale ad allocare più risorse per
coprirla e meno per altro. Un disastro. Ma diventerebbe catastrofe se il
mercato decidesse che il rischio di insolvenza dell’Italia è così elevato da
disertare le aste dei titoli. Per questo è comprensibile che Tremonti abbia
posto il veto su qualsiasi detassazione che possa aumentare deficit annuo e
debito storico. La priorità è dimostrare al mercato che l’Italia è disposta a
tutto pur di tenere i conti in ordine. Ma c’è anche la priorità di evitare la
stagnazione deindustrializzante. Inoltre il mercato comunque resterà sospettoso
sul debito dell’Italia se questa non saprà dimostrare di crescere almeno
attorno al 3% del Pil ogni anno. Se si evita una catastrofe si crea l’altra. Ma
la priorità del rigore è a scadenza breve e prevale su quella della crescita.
Infatti il governo si sta orientando verso un minimo taglio delle tasse,
insufficiente, e spera nel sollievo dei soldi che arriveranno con lo Scudo
fiscale. Ma questo sarà temporaneo. Senza scelte fortissime siamo condannati allo
scenario di stagnazione. Quali scelte? Oltre alla riforma graduale delle
pensioni per contenere i costi statali futuri, come invocato dalla Banca
d’Italia, l’unica mossa risolutiva è quella di ridurre il debito sia per
recuperare spazio di detassazione dalla minore spesa per interessi sia per
convincere il mercato della nostra solidità. Si tratta di impacchettare dai 100
ai 200 miliardi di patrimonio con una formula finanziaria che ne permetta la
vendita differita, ma l’abbattimento immediato di un monte equivalente di
debito. Solo l’annuncio di una tale misura, da realizzare nel 2010/11,
confermato da un censimento precursore del patrimonio pubblico e da un sostegno
della Ue da conquistare anche negoziando duramente, migliorerebbe la
valutazione dell’Italia e ridurrebbe il premio per comprare debito italiano. Questo
risparmio, più quello dovuto ai minori interessi per l’abbattimento di una
parte del debito, più alcune delle risorse riallocabili individuate da
Baldassarri nel bilancio, dovrebbero darci dai 40 ai 50 miliardi strutturali di
spazio per detassare sostanzialmente e così rilanciare la crescita.
L’operazione sul debito ci permetterà sia di consolidarlo sia di evitare la
stagnazione. Questo è il cambio di marcia da una politica difensiva ad una di
attacco: dalla paura al coraggio.
www.carlopelanda.com